detezione del segnale

Detezione del segnale: significato e teorie

La detezione  del segnale  è quell’attività del sistema sensoriale che varia sia per condizioni del sistema stesso sia per gli effetti degli stimoli esterni.

Prendiamo in esame il sistema uditivo.

L’effetto che lo stimolo sonoro produce varia sia in base al rumore di fondo, sia in base all’attività nervosa dl sistema.

Per detezione del segnale si intende, in altre parole, la capacità del soggetto di distinguere lo stimolo dal rumore: perché ciò accada si deve prendere un criterio di decisione, basato sia sulla situazione specifica che sulla psicologia della persona.

Ecco allora spiegate le “false partenze” nei velocisti.

Allorquando il soggetto pone il suo criterio verso la decisione di non percepire tutti gli stimoli, c’è il rischio che si perda degli stimoli realmente presentati.

Se invece pone il suo criterio verso la decisione di percepire qualsiasi stimolo, terrà conto anche di parte della curva del rumore, aumentando quindi il rischio di “falsi allarmi”.

La detezione del suono è qualcosa, quindi, tra neurologia e psicologia.

Il network neuronale dell’attenzione sostenuta è quello frontale parietale di destra, sostenuto dal sistema colinergico del forebrain, che è concettualizzato come un locus privilegiato dei processi TD avviati dall’attivazione dell’AAS, il sistema esecutivo, e progettati per mediare la detezione e la selezione dello stimolo guidata da conoscenza filtrando rumori e distrattori e aumentando l’input sensorio.

Quando il termine vigilanza fu applicato per la prima volta al comportamento umano  si riferiva al massimo stato di prontezza fisiologica e psicologica di un organismo, ma la ricerca moderna, che nasce nella seconda guerra mondiale con gli studi dei problemi nelle prestazioni degli operatori radar Mackworth definisce tale fenomeno in termini di relazione tra capacità di detezione del segnale e obiettivi ridotti da individuare.

La manifestazione di questa componente dell’attenzione, ritenuta una funzione di base indispensabile , insieme all’attenzione focalizzata, per l’efficacia di aspetti superiori dell’attenzione stessa, come l‘attenzione selettiva, alternante e divisa è spesso accompagnata a una performance legata alla vigilanza.

Il termine  vigilance è usato in modo differente in ambiti scientifici diversi: infatti se per psicologi e neuroscienziati cognitivi tale lemma rimanda ad una abilità decrescente di sostenere l‘attenzione durante un compito protratto nel tempo, per gli scienziati del comportamento e della psicologia clinica, così come per le definizioni in diversi dizionari inglesi, esso descrive prevalentemente l’attenzione a minacce o pericoli potenziali in caso di sindrome da stress post-traumatico, infine, per i neuropsicologi, indica il livello di arousal sullo spettro veglia-sonno senza misurazione di aspetti cognitivi o responsività comportamentali.

Il costrutto psicologico della vigilanza o attenzione sostenuta, non è esente da un certa confusione terminologica che purtroppo caratterizza tutto l’ambito di studio dell’attenzione, a causa di un utilizzo del concetto in ambiti diversi con accezioni differenti e dell’uso frequente intercambiabile con i termini come arousal e alertness.

 

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