compressione del suono

Compressione del suono: un rischio per l’udito?

Radio, la televisione, lo smartphone, la videoconferenza ritrasmettono audio dove assistiamo a una compressione del suono e questo non è un fattore insignificante per il nostro udito.

La compressione del suono tecnicamente significa che ha subito un processo per far emergere i livelli più deboli della banda riducendo il divario con i livelli alti.

Dall’Mp3 allo streaming è onnipresente e questo processo di riduzione delle variazioni sonore stanca il nostro sistema uditivo in modo duraturo.

Il fenomeno preoccupa gli specialisti della salute dell’udito.

Fra questi, Paul Avan, dell’università Clermont Auvergne, responsabile del centro ricerche e innovazione in audiologia umana all’istituto dell’udito a Parigi, ha realizzato uno studio inedito, presentato il 12 gennaio alla settimana dell’udito all’Unesco, ma non ancora validato da una rivista scientifica.

Lo studio riporta i risultati di un esperimento condotto su 90 porcellini d’india, che hanno una sensibilità uditiva simile a quella degli esseri umani, ai quali sono stati fatti ascoltare brani di musica in versione originale e poi sovracompressa.

L’obiettivo della ricerca è importante: evitare di esporre le persone a una potenziale alterazione irreversibile del loro udito. Il risultato dell’esperimento ha rafforzato l’ipotesi che l’assenza di micropause risultante dal processo di compressione è nocivo per l’udito mentre la loro presenza ne attua l’effetto.

In sostanza, nel processo di compressione del suono il silenzio diventa sonoro mentre le pause di silenzio sono necessarie al riposo dell’orecchio e del cervello.

 

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