Portare l’apparecchio acustico non deve più creare disagio o imbarazzo. E da Pistoia si alza la voce dell’esperto audioprotesista Gilberto Ballerini: “Basta con la vergogna e lo stigma, la sordità si combatte con la cultura del sentire”.
Bisogna puntare sul bello e sul design per superare le preoccupazioni di farsi vedere con un apparecchio, ma soprattutto l’audioprotesista non può essere solo un commerciante, deve anche accompagnare la persona a ritrovare le emozioni temporaneamente sospese. Un tema che riguarda milioni di italiani. Capacità di adattarsi e di autogestire le sfide fisiche, sociali ed emotive.
L’Organizzazione mondiale della sanità definisce così il concetto di salute. Un assunto che, in alcuni casi, ha bisogno di regole ben precise. In Italia sono sette milioni le persone con problemi di udito, corrispondenti all’11,7% della popolazione e, più in generale, l’ipoacusia riguarda, fra gli over 65, una persona su tre. Solo il 31% della popolazione ha effettuato un controllo dell’udito negli ultimi 5 anni, mentre il 54% non l’ha mai fatto.
Dati che evidenziano un vero e proprio allarme sociale amplificato dalla vergogna di dover ricorrere a protesi spesso evidenti: “La tecnologia -spiega Gilberto Ballerini, audioprotesista di lunga data e autore del libro ‘Perché ci vuole orecchio’- ha fatto passi da gigante ma lo stigma per chi deve fare uso di apparecchi acustici è ancora rilevante. Eppure, farvi ricorso è proprio una questione di salute nel solco della definizione data dall’Oms”.
Campagne pubblicitarie ammiccanti, talvolta aggressive, sguardi indiscreti, atteggiamenti di rifiuto possono contribuire ad alimentare una cultura scarsamente rivolta al sociale, stati depressivi, desiderio di non coltivare più alcun tipo di relazione: “Il problema -spiega ancora Ballerini- è proprio di questa natura e drammaticamente al passo con i tempi. In una società del tutto e subito, della perfezione a ogni costo, della competizione sempre e comunque, chi è in difficoltà va scartato, messo ai margini. Questo in generale, ma per chi ha problemi di udito il disagio aumenta. Non sentire ti allontana, ti rende solo, ti isola. E per uscire dalla gabbia in cui purtroppo ci si ritrova, si immagina che la protesi possa essere la soluzione. Per quanto la tecnologia ci metta oggi a disposizione strumenti raffinatissimi per mezzo dei quali è possibile ottenere pregevoli risultati, la mia esperienza dice che non si deve partire da qui, ma dalla persona. Perché se non si ragiona in questo modo, si rischia di creare nuove dipendenze o illusioni che poi svaniscono”.
Articolo tratto da “La Nazione”