Nascere sordi o diventare sordi.
L’esigenza di comunicare ci mette di fronte a una serie di complessità.
La storia ci racconta di come in passato non ci fosse molta consapevolezza del legame tra sordità e mutismo, infatti, in molti Paesi i sordi non avevano alcun diritto e venivano considerate persone con problemi mentali.
“Nel XVI secolo arrivarono le prime buone notizie dalla Spagna: Padre Ponce de Léon educò tre fratelli sordi della nobiltà iberica. Da lì iniziò la storia tormentata della lingua dei segni, che nei secoli ha affrontato ostacoli non indifferenti, tanto che venne addirittura proibita nel corso dell’Ottocento. Ma grazie alle rivendicazioni della comunità sorda e alle rivoluzioni culturali degli anni Sessanta del ’900, anche questa diversità trovò comprensione e dignità”.
L’udito è preposto all’intercettazione dei suoni del mondo circostante e alla trasmissione, sotto forma di impulsi elettrici, ai centri superiori di “elaborazione” nel nostro centro di controllo, il cervello.
Una soglia uditiva compresa tra 0 e 25 dB è considerata normale.
L’ipoacusia si può classificare in base alla gravità: lieve (soglia audiometrica compresa tra 20 e 40 dB); moderata (compresa tra 41 e 70 dB); grave (tra 71 e 95 dB) e profonda (soglia audiometrica oltre 95 dB).
Oggi la medicina ha fatto passi da gigante e nella maggior parte dei casi una sordità conclamata alla nascita può essere risolta entro pochi mesi dalla venuta al mondo del bebè tramite l’installazione di un impianto cocleare.
La sordità può essere un handicap per le persone che vivono alle nostre latitudini, perché non vengono forniti loro strumenti adeguati affinché possano essere al pari delle persone udenti. In Francia, dove la lingua dei segni è molto sviluppata, le persone sorde possono avere una vita quasi normale solo perché viene concesso loro libero accesso a tutte le informazioni di cui hanno bisogno.